
Questa settimana compio 33 anni, evento che mi induce a fare alcune riflessioni. Sulla fiducia, sulla capacità di averne negli altri e di ispirarne. Quando ero una ragazzina speravo di diventare una persona su cui gli altri avrebbero potuto contare, a cui si sarebbero affidati, e adesso, che ho quasi l’ultima età di Cristo, mi chiedo se la fiducia non sia solo una questione di “credulità”. E già, per fidarti devi essere un tantino credulone: prendi una persona che stimi, gli parli sinceramente, ed ecco che il depositario delle tue confidenze ti rassicura e sa guidarti dove sa che tu vuoi andare, anche se sei troppo impaurito o confuso per ammetterlo. Intendiamoci, non lo fa in modo razionale, come se stesse spiegandoti un teorema geometrico, ma ti imbroglia bonariamente, ti distrae dal momento critico, prende tempo per poterti aiutare, per “fare”, non solo per “dire”. Anche per ispirare fiducia bisogna essere creduloni, o esserlo stati. Devi aver provato, secondo me, la sensazione di esserti fidato e di aver fatto bene a farlo: la felicità, la gratitudine che ne deriva, ti fa pensare che anche tu puoi far sentire gli altri in questo modo, puoi farli stare bene in un momento difficile, così come speri accada a te quando ne avrai bisogno. In questo ragionamento però si è sempre sull’orlo del precipizio: spesso chi si affida a te pensa che tu sia indistruttibile e se ti incasella in quel ruolo difficilmente sarà pronto a cambiarti maschera, perchè gli verrebbe a mancare un sostegno. D’altra parte, nel voler essere un “depositario di fiducia” spesso si nasconde una mania di grandezza, forse perfino il desiderio inconscio di avere dei debitori di fiducia, disposti come materassini attorno a te, per attutire le tue cadute, quando ci saranno. Di contro, si potrebbe arrivare a non fidarsi più di nessuno, a pensare di potercela fare da soli, e che la persona migliore di cui fidarti, modestamente sei proprio tu.
Perbacco, una faccenda seria, la fiducia, forse affiancargli l’aggettivo “credulone” è inappropriato, con quell’ -one che sa tanto di sempliciotto, eppure mi sembra il modo più simpatico e meno indolore di definire un rapporto sbilanciato, in cui un pizzico di ingeuità non può far altro che bene, secondo me.
Dopo quasi un decennio di lezioni private a ragazzi di tutte le età, posso dire di aver visto gli adolescenti cambiare: non voglio propinarvi la solita storia dei giovani d’oggi, che non conoscono il significato di sacrificio, rispetto e buona educazione, non ci ho mai creduto, per quanto debba ammettere di averlo pensato spesso, soprattutto quando avevo meno esperienza; oggi sono convinta che il problema, spesso, sia proprio una questione di incapacità di avere fiducia, negli altri e in se stessi. La maggior parte dei miei “allievi” chiede ripetizioni di greco e latino, bestia nera di tutti i liceali, ma nella maggior parte dei casi basta esercizio costante e capacità di organizzarsi nello studio a risolvere il problema, capacità quest’ultima che la scuola italiana trascura di coltivare, purtroppo, spesso con risultati disastrosi e un grande spreco di materiale umano: ho sempre cercato di infondere ai ragazzi fiducia nelle proprie possibilità e la convinzione che il lavoro paga sempre, al di là del prof che ti ha “preso di mira”. Posso dire che la maggior parte dei ragazzi che ho seguito era dotata di intelligenza, ma aveva bisogno di essere rassicurata e spronata, convinta a voler dimostrare il proprio valore e trarne grande soddisfazione… mi sembra normale che da adolescenti si sia insicuri e si cerchi l’appoggio, l’approvazione degli altri, ma col passare del tempo ho potuto osservare che i ragazzi arrivano ai 15 anni con una dose di cinismo e sfiducia nel sangue che nemmeno gli adulti più scafati dimostrano.
Intendiamoci, i problemi degli studenti sono sempre gli stessi, ma è sempre più difficile convincerli che possono superarli o stuzzicare il loro orgoglio: al liceo avevo un professore di greco severissimo, dio quanto lo odiavo!, ma le sue frecciate mi hanno spinta a volergli dimostrare che su di me si era sbagliato, che ero meglio dei miei compagni, che era lui a sbagliare atteggiamento. Quando ho capito che mi trattava in quel modo perchè aveva intuito che per ottenere il meglio doveva ferirmi nell’orgoglio, il liceo è finito ed è stato l’unico professore da cui sono tornata per fare due chiacchiere da studentessa universitaria.
Se dico ad un ragazzo: impegnati e ce la farai, perchè hai tutte le doti necessarie, quello mi guarda come a dire “che illusa che sei”, perchè il professore è un nemico (questo valeva anche per me!) e i ragazzi non si sognano nemmeno di sfidarlo, se non con la maleducazione purtroppo, e non nell’unico modo possibile per loro: studiando, lavorando, migliorando. Quando un professore ti mette tre all’interrogazione, se anche a quella successiva ti meriteresti otto, non te lo metterà mai, probabilmente, perchè devi riconquistare la sua fiducia, dimostrare che non si tratta di un caso fortuito o solo di uno studio “matto e disperatissimo” fatto la sera prima: quando cerco di spiegare ad uno studente che è normale, che può anche essere uno stimolo, che è l’inizio della “risalita”, quello mi dice che è una ingiustizia e basta, e chiede di cambiare sezione, perchè non ce la fa più. Anch’io ho pensato “quanto sono viziati i ragazzi di oggi!”, salvo poi capire che molti (non tutti), credono davvero di non potercela fare e non vogliono dimostrare niente ai professori, semplicemente perchè non li stimano, non hanno fiducia in loro, nè in me, nè nei genitori che cercano di aiutarli in ogni modo, di metterli nelle condizioni di recuperare. E’ una sfiducia congenita, contro cui non si può far nulla e che molto spesso porta i ragazzi a mollare, a sprecare il loro potenziale per avere serate tranquille da adolescenti che non credono in niente, perchè non ne vale la pena.
Non so da cosa dipenda questo cinismo, questa sfiducia… lo chiedo a voi. Mi torna in mente l’aggettivo “credulone”, semplice e ingenuo, e vorrei che i miei studenti, qualche volta, fossero un po’ così. La mia personale opinione? Se leggessero di più da bambini e continuassero a farlo negli anni, gli adolescenti “crederebbero”, avrebbero una mente più aperta, leggera, più ricettiva agli stimoli, anche quelli che spaventano e fanno piangere. La letteratura è terapeutica, quella fantastica ancor di più, a mio avviso, perchè è incredibile quanto, trasportandoti in altri mondi, ti aiuti a vivere poi nel tuo, sfidando i draghi.
Così, alla mia “veneranda” età, mi chiedo come si possa convincere uno ragazzo di oggi ad impugnare la spada… ma non mi arrendo, ah, non mi arrendo!
Un saluto,
Della
PS: “Trust no one”, non fidarti di nessuno, era il motto di Fox Mulder, protagonista del telefilm X-Files. Lui però era giustificato, visti i complotti pazzeschi in cui era coinvolto!